Domande frequenti

A tutt’oggi purtroppo non si conosce la causa precisa che determina la comparsa di una leucemia in un bambino. Si conoscono bene i meccanismi alla base della malattia, ma il perché un clone di cellule “impazzite” compaia all’improvviso è ancora oscuro. A differenza di quanto avviene in età pediatrica le leucemie che si sviluppano in età adulta possono essere a volte causate dall’esposizione ad agenti esterni, quali radiazioni, sostanze cancerogene (fumo) o chimiche (coloranti).

La leucemia NON è assolutamente una malattia contagiosa, cioè NON si può trasmettere da una persona ad un’altra. La leucemia NON è neanche una malattia ereditaria; tuttavia, è noto che alcune rare patologie genetiche (S. di Down, atassia-teleangectasia, etc) possono associarsi ad un aumentata incidenza di malattie leucemiche  malattia rispetto alla popolazione generale.

Purtroppo no. Non ci sono esami predittivi e i sintomi di esordio della malattia sono così comuni con altre malattie che a volte si rischia di intravedere la leucemia molto più spesso di quanto non sia probabile diagnosticarne una. Ricordiamo inoltre che la leucemia c’è o non c’è, non si tratta che ce ne sia poca o tanta. Quindi il fattore tempo per diagnosticarla rapidamente è assai spesso importante solamente al fine di non avere condizioni cliniche troppo compromesse.

La malattia, sia nel bambino che nell’adulto, è sicuramente GRAVE, ma, oggi, raramente mortale. Infatti la possibilità attuale di guarigione nel bambino è variabile da circa il 90% nei casi di Leucemia Linfoblastica  Acuta (LLA) al 65-70% dei casi con Leucemia Mieloide Acuta (LMA) (per maggiori dettagli vedansi le sezioni specifiche). Tale percentuale può variare  a seconda di fattori biologici oggettivi (tipo di leucemia, caratteristiche genetiche ed immunologiche, risposta alle cure) e di fattori clinici soggettivi (tolleranza al trattamento).

Per guarigione si intende che il soggetto adeguatamente trattato mantiene nel tempo (almeno 2 anni dopo l’interruzione delle cure che in genere durano 2 anni) uno stato di remissione ematologica (assenza di malattia) ed un normale stato psichico e sociale. Quindi la vera guarigione deve essere fisica, psichica e sociale.

Trapianto di midollo osseo significa sostituzione di un tessuto vitale quale il midollo contenuto nelle nostre ossa. Trapianto, che attiene come termine tecnico più ad un organo solido, andrebbe meglio sostituito con trasfusione. Infatti il trapianto di midollo osseo è più simile ad una trasfusione che viene eseguita attraverso il catetere venoso centrale che viene sempre posizionato per eseguire un trapianto. In pratica con il trapianto vengono infuse cellule staminali emopoietiche normali al soggetto affetto da malattia maligna o non maligna del midollo osseo.

L’unico vero rischio per il donatore è quello anestesiologico, quindi molto basso. La durata dell’anestesia varia a seconda della superficie corporea del ricevente ed in media varia da 40 a 60 minuti. Quando possibile, la raccolta e somministrazione delle cellule staminali periferiche, che si effettua con prelievo venoso, può ovviare anche a questo “minimo” rischio.

Un soggetto (bambino o adulto) in terapia è un soggetto immunodepresso cioè con difese anticorpali abbassate. Pertanto se a questa immunodepressione si aggiunge, in alcune fasi di trattamento, un abbassamento di globuli bianchi (= aplasia), la febbre, quale espressione di un’infezione aspecifica, va considerata con molta attenzione e prudenza. In genere è meglio ricoverare il soggetto e metterlo in terapia antibiotica associativa. Il rischio della febbre, e quindi dell’infezione, non è per la leucemia (= facilita la ricaduta) ma unicamente perché l’infezione può trasformarsi in setticemia (= infezione sistemica). Quando invece i globuli bianchi hanno un valore pressoché normale (=non aplasia) il rischio infettivologico è molto minore.

E’ indifferente. Il clima non condiziona assolutamente la leucemia del bambino o dell’adulto. Il sole non induce affatto una ripresa della malattia. Clima e, aggiungo anche, alimentazione non guariscono o aggravano una leucemia, ma sono senza dubbio importanti per mantenere le buone condizioni fisiche del soggetto.

NO. Non perché i vaccini possano causare una ricaduta della malattia, ma perché l’immunodepressione causata dalle cure impedisce l’attecchimento di un vaccino (cioè la risposta immunitaria da parte dell’organismo). In genere il calendario vaccinale viene ripreso circa 6 mesi dopo l’interruzione delle cure o viene ricominciato “ex novo” 1 anno dopo il trapianto di midollo osseo. L’ unica eccezione prevista è per il vaccino anti-influenzale e conseguente possibile richiamo che, dal 2004, è consigliato a tutti i pazienti in terapia.

NO, il trapianto di midollo osseo è una terapia alternativa alla chemioterapia. A seconda del tipo di diagnosi (leucemia, linfoma, anemia aplastica, linfoistiocitosi…) questa strategia terapeutica può essere utilizzata da sola o in associazione al trattamento chemioterapico. In alcune malattie (es leucemia mieloide acuta, HLH…) può essere indicato fin dall’esordio di malattia, mentre in altri casi (es leucemia linfoblastica acuta, linfomi…) viene utilizzato quando la chemioterapia da sola non è stata in grado di controllare la malattia o in caso di recidiva, cioè di ripresa della malattia dopo un’iniziale fase di remissione.

Curare un bambino malato di leucemia non vuol dire solo saper eseguire una diagnosi e poi somministrare i farmaci adatti per guarire la malattia, ma occorre offrire al bambino e alla sua famiglia tutto quanto gli possa consentire di raggiungere la vera guarigione o, comunque, la miglior qualità di vita.
Tutto questo è appunto l’assistenza globale che, oltre a richiedere un intervento multidisciplinare (medici, infermieri, assistente sociale, psicologi, educatori, clown, volontari, …), necessita di momenti ben precisi ed organizzati quali la comunicazione della diagnosi non solo alla famiglia, ma anche al paziente stesso, il renserimento del bambino nella scuola di origine, la ripianificazione in caso di ricadute, l’assistenza nella fase terminale, la gestione della comunicazione anche ai fratelli.

Purtroppo la perdita dei capelli è uno degli effetti collaterali più comuni dei trattamenti chemioterapici. Non è detto che ciò avvenga subito ed in maniera completa, ma è molto probabile. La caduta dei capelli, più o meno precoce e più o meno completa, non è assolutamente indice dell’efficacia della terapia ma è fattore del tutto individuale, espressione della tossicità delle cure.

I tumori ematologici come leucemie e linfomi sono malattie gravi e, anche se oggi si parla in maniera concreta di guarigione, purtroppo in alcuni casi restano malattie potenzialmente mortali. La prognosi è diversa a seconda del tipo di diagnosi, delle caratteristiche biologiche della malattia e della risposta al trattamento. In mani “esperte”, però, questa evenienza è rara: i rischi maggiori, specie per alcune forme, sono all’inizio delle cure, quando, distruggendo le cellule malate, vengono liberate delle sostanze che possono causare emorragie mortali o dismetabolismi gravi. Il 2-3% dei soggetti può invece sviluppare infezioni o tossicità mortali durante il trattamento. Pur rimanendo il rischio di mortalità maggiore quello legato alla progressione di malattia, negli ultimi anni si sono resi disponibili numerosissimi farmaci innovativi (anticorpi monoclonali, farmaci targettizati, CAR-T…) che permettono di curare e in alcuni casi guarire anche malattie fino a 10 anni fa considerate incurabili. 

I trattamenti necessari per curare molte malattie ematologiche determinano purtroppo un indebolimento del sistema immunitario. Per tale motivo il bambino è maggiormente soggetto ad infezioni che possono rallentare il proseguimento delle cure ed in alcuni casi mettere a rischio la vita del bambino stesso. Di conseguenza nei mesi di trattamento cosiddetto intensivo (generalmente i primi 6-10 mesi dopo la diagnosi e/o dopo l’esecuzione di trapianto di midollo) è consigliato non far frequentare al bambino luoghi pubblici o luoghi affollati. Questo non vuol dire che il bambino non possa uscire di casa o vedere i propri familiari più stretti o qualche amico, ma è sconsigliato frequentare luoghi quali bar, supermercati, cinema, ristoranti e comunque è necessario evitare sempre l’incontro con persone che presentino sintomi quali raffreddore, tosse, febbre, diarrea…
Al termine della fase intensiva di trattamento, il bambino potrà invece tornare a frequentare la scuola e la comunità, riprendendo una normalità anche per quanto riguarda la vita sociale.

Partendo dal presupposto che il bambino deve frequentare la scuola, bisogna fare però una distinzione tra “tornare a scuola” e “fare scuola”.

Sicuramente il bambino farà scuola perché da anni si è sviluppato il programma “Scuola” nel nostro Centro e ciò è stato possibile grazie anche alla sensibilità ed alla collaborazione con Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia e Ufficio Scolastico Territoriale Monza-Brianza che ha permesso di poter avere in ospedale insegnanti di tutti gli ordini di scuola, preparate ad hoc per inserirsi nel “circuito” malattia di questi bambini e ragazzi. Le lezioni si svolgono in presenza nei reparti e per ciascun alunno viene seguito un percorso educativo-didattico definito in collaborazione con la scuola di appartenenza con la quale viene avviata una stretta collaborazione e dalla quale sono acquisite le indicazioni degli  obiettivi formativi e didattici.

Quando poi la situazione clinica ed ematologica lo consente, vostro figlio potrà “tornare a scuola”. Infatti, oltre al suo ruolo educativo, la scuola rappresenta la normalità, la riconquista del suo stato di “benessere” con i suoi compagni.

Anche il bambino più piccolo ha l’opportunità di essere seguito da educatrici e animatrici affinché possa proseguire il suo sviluppo psico-motorio.

I pazienti sottoposti a trattamento chemioterapico richiedono un accesso venoso sicuro e disponibile non solo per poter effettuare prelievi di sangue e somministrare alcuni tipi di farmaci e chemioterapici (caratterizzati da lesività della parete vascolare oppure dalla capacità di distruggere i tessuti nelle eventuali zone di stravaso extravascolare), ma anche per poter infondere elevate quantità di liquidi, emoderivati e per la gestione degli effetti collaterali della terapia e delle complicanze ad essa correlate.
Tale accesso viene di solito ottenuto posizionando un catetere venoso centrale (CVC), un dispositivo che permette inoltre di non sottoporre il bambino a continue venipunture dolorose, migliorando notevolmente la qualità di vita e la tolleranza del periodo di cura.
Il CVC è un tubicino che può essere inserito in una grossa vena alla base del collo (CICC) e successivamente fissato tramite un passaggio sotto la cute (“tunnellizzazione”) e fatto emergere a livello del muscolo pettorale. In alternativa, nei bambini più grandi, può essere inserito in una vena del braccio (PICC). In ogni caso la punta del tubicino viene sempre posizionata nella vena cava superiore, subito prima della sua confluenza nel cuore. Questi cateteri possono rimanere inseriti anche per lunghi periodi, ma necessitano di una adeguata cura ed attenzione e devono essere medicati dal personale infermieristico una volta alla settimana, rispettando rigorosamente le tecniche di pulizia ed asepsi per evitare che possano diventare sorgente di infezione.

 

Sì, ma limitatamente ad alcune fasi della terapia (chemioterapia intensa) e almeno nei primi 6 mesi post-trapianto. Per evitare il rischio di alcuni tipi di infezioni gastro-intestinali è meglio evitare le verdure non cotte (esempio insalata, pomodori freschi, finocchi), la frutta non sbucciabile ( es. uva, albicocche, fragole), gli insaccati non cotti (es. prosciutto crudo, salame crudo, bresaola), la carne, le uova e il pesce non cotti. Per quanto riguarda i fritti e i cibi troppo grassi o elaborati è sempre meglio limitarne il consumo … anche se piccoli “sgarri” alla regola possono essere concessi!

È sempre importante bere molta acqua!!

In generale non ci sono problemi per gli animali domestici, purché vaccinati e che non abbiano la libertà di vagare al di fuori delle mura domestiche.

Una conseguenza della chemioterapia è l’aplasia, cioè la riduzione importante dei globuli bianchi, in particolare dei neutrofili (<500/mmc), ossia quelle cellule deputate in prima istanza alla difesa immunitaria nei confronti delle infezioni batteriche. In queste fasi, quindi, bisogna cercare di ridurre il rischio di infezioni evitando il contatto con persone malate ed i luoghi super-affollati ma senza, per questo, costringere il bambino ad una “reclusione forzata”. Un’altra precauzione da adottare consiste nel contattare telefonicamente il Centro nel caso di comparsa di febbre, vomito, diarrea, addominalgia, o se il bambino si presentasse scarsamente reattivo, in modo che vengano così forniti consigli ed indicazioni per la corretta gestione dell’evento.

Certamente sì. Bisogna spiegare, adeguandosi all’età del bambino, la malattia del fratello/sorella e la necessità di effettuare cure che richiedono comprensione e sacrifici anche da parte loro! Solo rendendoli perfettamente coscienti della situazione si potrà ottenere la loro piena collaborazione. Tuttavia anche loro, pur essendo sani, hanno bisogno dei propri genitori, del loro amore e della loro attenzione: pertanto, non bisogna “concentrarsi” solo sul figlio malato ma cercare, nel limite del possibile, di essere esigenti e comprensivi in ugual misura, senza creare troppe differenze, che potrebbero risultare nel tempo controproducenti per tutti.

E’ bene che per lo meno uno dei due genitori continui a lavorare nonostante la malattia del figlio. Il continuare a dedicarsi al proprio lavoro, all’attività sportiva o agli interessi di sempre, ovviamente con i limiti che una terapia intensa come quella per la leucemia comporta (soprattutto nei primi 6 mesi) è vantaggioso non solo per i genitori ma anche per il bambino. E’ importante che la malattia del bambino non “stravolga” la normalità della vita familiare ma ne entri a far parte, integrandosi con le abitudini e attività quotidiane in maniera meno traumatica possibile.

Nonostante la letteratura confermi la nostra esperienza clinica e ci dica che la maggior parte delle famiglie e dei bambini è in grado di adattarsi adeguatamente all’esperienza di malattia, è indubbio che con la diagnosi di leucemia un evento concreto sconvolge la quotidianità del nucleo familiare, e lo psicologo offre l’occasione di percorrere insieme un pezzo di strada per utilizzare al meglio le proprie risorse, per non negare le sofferenze e le fatiche, ma affrontarle condividendole.

Il ricordo dell’esperienza di malattia varia a seconda dell’età di sviluppo psico-affettivo dei bambini, che inevitabilmente influenza il loro grado di consapevolezza relativamente a quanto sperimentano nel corso delle cure. Il trauma non è dato dalla situazione malattia, ma dal contesto in cui eventualmente viene vissuto. Per questo motivo è importante che si crei una buona alleanza tra la famiglia e i curanti, e che al bambino venga data sempre la possibilità di esprimere ciò che prova e dire quello che pensa, in modo che gli adulti di riferimento possano aiutarlo a trovare le strategie per affrontare al meglio esperienze faticose o spaventanti e sostenerlo nei momenti difficili.

Allo stesso modo di quello che si fa con i bambini, anche se è molto importante imparare ad ascoltarli prima di dare loro risposte affrettate e/o pericolose.