I NOSTRI MEDICI | 3 Aprile 2014

“Ciao Dottore, ti ricordi che mi hai guarita? Adesso faccio il medico anch’io: è bellissimo”

I protagonisti di questo incontro sono il Dr. Carmelo Rizzari, pediatra emato-oncologo, responsabile del reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale S. Gerardo di Monza e la Dr.ssa Paola Morelli, medico chirurgo, specializzanda in Anestesiologia e Rianimazione presso l’Ospedale San Paolo di Milano. Paola è guarita dalla leucemia della quale si era ammalata all’età di sedici anni. Paola ha oggi 29 anni, si è laureata in Medicina e Chirurgia nel 2010 e fra tre anni sarà specialista in Anestesia e Rianimazione. Questa è la testimonianza di chi, da due fronti diversi, ha combattuto e vinto la leucemia usando le armi migliori: la scienza, la fiducia ed il sorriso.

Un pomeriggio del Dicembre scorso mi aggiravo nell’atrio dell’Ospedale San Paolo dove ero stato invitato a fare una conferenza sulla cura delle leucemie dell’età pediatrica.

Distrattamente, alla fine della conferenza, attraversavo l’atrio per dirigermi verso il parcheggio dove avevo lasciato l’auto che mi avrebbe riportato a Monza, quando mi sentii chiamare da una voce femminile.

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PAOLA “Carmelo!”

CARMELO “Chi sei? Ah, Paola!”

P. “Carmelo, non mi riconosci? Sono Paola!!! Che bella sorpresa! Ma cosa ci fai qui?”

C. “Paola!!! Dalla Valtellina con furore!!! Certo che adesso ti riconosco!!!! Cosa vuoi che ci faccia in un ospedale… Mi hanno invitato a parlare delle cure più moderne per la leucemia dell’età pediatrica, sai quel campo in cui dicono io sia un esperto… Ehhhh… E tu cosa ci fai qui con questa tutina azzurra?”

P. “Lavoro qui…”

C. “Lavori qui??? Ma allora sei diventata una dottoressa! Ricordavo che avevi iniziato a frequentare la facoltà di Medicina e Chirurgia…però è già passato così tanto tempo??? Mannaggia, il tempo è volato!”

P. “Eh sì… sto facendo la specialità… ormai sono alla fine del secondo anno”.

C. “Che specialità hai scelto?”

P. “Anestesia e rianimazione”

C. “Però…. Ma perché non ematologia o pediatria? Saresti potuta diventare una bravissima ematologa pediatra… visti i tuoi trascorsi saresti stata già un bel pò avanti…”

P. “No… no… penso che il tuo sia un lavoro bellissimo ma non credo sarebbe stato adatto a me. Ad un certo punto bisogna superare il passato… se avessi scelto il tuo lavoro sarei rimasta coinvolta emotivamente ancora per molto tempo… avrei rischiato di rivivere nei pazienti la mia storia… e questo un po’ mi spaventava. Ho scelto questa specialità perché mi ha sempre affascinato e poi lungo il mio percorso ho incontrato persone che mi hanno motivato tanto. Nella vita spesso gli incontri che fai ti condizionano inevitabilmente. Credo che fare l’anestesista mi piaccia anche perché richiede un rapporto con i pazienti meno duraturo, forse meno coinvolgente anche solo per il tempo che si deve passare insieme. Già quando faccio i turni in terapia intensiva con pazienti che rimangono ricoverati per tanto tempo ho qualche difficoltà in più…E tu come stai? che novità ci sono a Monza?”

C. “Beh, sono cambiate tante cose. Sto bene e sono contento di quello che faccio. I bambini mi danno sempre tante soddisfazioni. E poi, sai, non saprei fare tante altre cose oltre l’emato-oncologo pediatra… per cui sono costretti a tenermi… Addirittura mi hanno fatto responsabile del reparto!!!! Ma ahimè questo vuol dire anche che sono passati gli anni e che sono diventato uno dei più anziani… Sai Paola, ti trovo proprio bene… Ma… che ne dici di fermarci a bere qualcosa al bar così mi racconti meglio cosa ti è capitato in questi ultimi anni e magari anche qualcos’altro?”

P. “Ok! Andiamo!”

Siamo al bar e mentre beviamo un bel thè caldo continua la chiaccherata…

C. “Se ricordo bene tu sei arrivata a Monza già grandicella… 16 anni giusto?”

P. “Sì, e dopo pochi giorni ne ho compiuti 17”

C. “Ti ricordi ancora il primo giorno a Monza?”

P. “Ho dei ricordi un po’ confusi… mi sentivo molto stanca. Ricordo che era sera e pioveva. Ero arrivata in ambulanza direttamente all’ospedale di Sondrio con mia mamma e un pediatra molto simpatico che aveva fatto fermare l’autista a Lecco per comperarmi un gelato! Mio papà ci seguiva in macchina. All’arrivo ricordo che ero sulla barella e non capivo perché venivo trattata come una malata… ero debolissima ma tutte quelle attenzioni mi sembravano eccessive… fino a pochi giorni prima ero un’adolescente modello, piena di vita, con la presunzione di esser ormai grande e di non aver più bisogno di nessuno…

Ricordo l’arrivo in reparto. L’ingresso in camera e Isabella, un’infermiera, che, dispiaciuta, mi diceva che mi ero persa la festa di Carnevale per poche ore. Sarebbe bastato arrivare nel pomeriggio.

Ricordo la fatica di entrare nel letto, di cambiarmi, di fare piccoli e banali movimenti… avevo l’impressione di scalare una montagna!

Ricordo di essermi abbandonata al sonno senza farmi tante domande anche se avevo intuito che doveva esserci un problema serio… un trasferimento così repentino, tutte quelle attenzioni da gente mai vista prima, i miei genitori entrambi presenti…

Il giorno successivo ricordo di averti visto per al prima volta!

Ero stata portata in uno studio per fare il prelievo del midollo. C’erano diverse persone che in realtà ora non ricordo, io ero seduta sul lettino e poi sei arrivato tu con il tuo camice svolazzante. E ti sei presentato. Da quella volta sei diventato per me “il trapanatore”. Sorridente ma pur sempre “trapanatore”…

C. “Già è vero! Mi chiamavi così! Eri sempre forte… il trapanatore sì sì ricordo… era perché spesso ero io farti le rachi ed i midolli… Ma cos’hai pensato la prima volta che mi hai visto?”

P. “Mi hai trasmesso tanta sicurezza. Mi sei stato subito simpatico. Ho capito che avevi bene in mente cosa fare. Che mentre per me quella situazione era tutta una novità e da parte mia c’era la titubanza di chi non sa bene cosa l’aspetta, per te quella era una situazione nota, già vissuta, e da parte tua c’era molta tranquillità. Ora che mi trovo dall’altra parte, so bene che non è sempre così. Molto spesso non si può essere sicuri al 100% rispetto alle decisioni che si prendono riguardo a terapie, controlli e procedure a cui sottoporre un paziente.

L’importante è essere il più possibile preparati, aggiornati, attenti e agire con buon senso per ridurre al minimo le probabilità di errori, ma un’unica possibilità assolutamente giusta non c’è quasi mai.

Già al nostro primo incontro avevo capito che dietro ai tuoi sorrisi e alle battute scherzose sulla mia Valtellina c’era molta professionalità. E ti sei guadagnato la mia fiducia”.

C. “Beh caspita che profilo psicologico-medico-professionale mi hai fatto in un batter d’occhio. Da allora in effetti, ogni volta che ti incontravo in reparto oppure in Day Hospital, vedevo il tuo sorriso aprirsi.. E adesso che sei un medico sai quanto sia bello notare ciò per un medico quando incontra un proprio paziente… Quando hai iniziato l’università avevi da poco finito le terapie. Immagino che la tua esperienza di malattia abbia condizionato questa scelta… perché hai deciso di fare medicina? “

P. “Sicuramente la mia esperienza a Monza da paziente ha condizionato questa scelta… avevo la curiosità di capire meglio quello che mi era successo, avevo il desiderio di possedere qualche strumento in più per comprendere come funziona e come può ogni tanto “incepparsi” questo affascinante marchingegno che è il nostro corpo.

E poi io credo che il medico sia un bellissimo lavoro perché ti da la possibilità di metterti a servizio degli altri. Altra grande qualità di questo lavoro è che si può fare ovunque… visto che amo viaggiare… chissà!

Io ho ricevuto tanto quando ne ho avuto bisogno. Ora che sto bene spero nel mio presente e nel mio futuro di poter essere altrettanto d’aiuto a qualcun altro.

E tu perché hai deciso di diventare medico? E perché poi ti sei dedicato all’oncoematologia pediatrica?”

C.: Ah mi chiedi proprio di svelarti i miei segreti più reconditi…. Cominciai a parlare di medicina quando avevo appena 8 anni. Mia mamma mi vedeva sempre interessato alle malattie, a cercare di capire i perché della febbre, delle malformazioni, delle dosi delle medicine. Una giorno, avevo 13 anni, dissi a mio nonno Carmelo (sai in Sicilia allora si usava chiamare il nipote con lo stesso nome del nonno), che fumava un sacco di sigarette al giorno e che tossiva tanto, di non preoccuparsi che un giorno sarei diventato un dottore e che gli avrei certamente fatto passare la tosse definitivamente… Ecco, da quel giorno fui il “Dottore” della famiglia e non mi sono più fermato…l’emato-oncologia pediatrica è stata quasi per caso…dopo aver deciso di fare il pediatra mi ritrovai assegnato per la tesi un professore di Catania molto famoso per l’ematologia pediatrica (sai in Sicilia tra talassemia ed altre varie malattie ematologiche ereditate da tutti i popoli che ci hanno conquistato nei secoli, ci sono grandi esperti di questo argomento). Una volta mi dissero che era appena tornato un giovane collega che era stato a Memphis, negli Stati Uniti, a studiare le leucemie e se volevo seguirlo su questa strada. Io non ebbi un attimo di esitazione… e adesso eccomi qua”.

P. “quindi poi sei stato negli Stati Uniti a studiare!?”

C. “Sì e pensa proprio a Memphis, quasi 15 anni dopo”

P. (sorridendo un po’ scherzosa): “Senti un po’…ma tu adesso scambieresti il mio lavoro con il tuo? Faresti per un periodo l’anestesista? Per un giorno… un anno… mai… Dài dimmelo…”

C. Mah sai sono stato sempre curioso di tutto ciò che non so o non conosco. Perché no… magari però per un pò di tempo soltanto… E tu ? Tu faresti cambio con me?”

P. “L’ematologa pediatra a Monza?! Mmm… forse per un giorno! Non di più! Giusto per rivedere un po’ di gente e far quattro chiacchere! Di più no… per i motivi che ti ho detto prima…”

C. “Senti, io ho un ricordo di te spesso sorridente. Prova a dirmi qual è il ricordo più bello che hai del periodo a Monza. ma nonostante i sorrisi immagino ce ne sia anche uno brutto…riesci a dirmeli?”

P. “Faccio molta più fatica a scovare nella memoria il ricordo più brutto…

I ricordi belli sono molti, più di uno e non saprei come fare una classifica! Tra questi c’è un risotto coi funghi che mi ha cucinato la mamma il giorno di Pasqua e che ho mangiato con gusto nella mia suite al San Gerardo, piano alto, vista parcheggio, le nostre lunghe chiaccherate anche notturne nei miei momenti di insonnia; una torta con una candelina che mi ha portato il mio fidanzatino di allora per il primo anno insieme, le strette di mano di papà (pugno piccolo nel pugno grande) gesto di forza per noi nei momenti di difficoltà, la foca Sibert della Marghe e le foto di Parigi, i clown dottori che mi facevano sorridere con scherzetti e palloncini, Laura che pur di non bucarmi due volte mi faceva i prelievi raccogliendo ogni goccia di sangue, Mari che mi prendeva in giro e mi chiamava Beatrice perché dovevo studiare Dante, Piera che mentre mi medicava riusciva a farmi ridere a crepapelle, Angela e il pulcino nell’ovetto, Lorenza che mi portava da provare frullati, succhi e omogeneizzati di tutti i gusti per invogliami a mangiare un po’ di più, la psicologa Emilia che mi ricordava i miei obiettivi quotidianamente, Heidi e Chiara che mi venivano a svegliare tutti i giorni con energia, il rito della doccia con l’aiuto della mamma tutte le mattine, un rimprovero del dottor Uderzo riguardo al disordine nella mia stanza, le levatacce per venire a fare i Day-Hospital, le colazioni al bar dopo gli esami, gli incoraggiamenti della piccola grande Marisa, i timbrini premio del dottor Jankovic post rachicentesi… potrei andare avanti ancora per ore!

In sintesi i ricordi più belli sono riconducibili al clima di leggerezza e normalità che si respirava quotidianamente in reparto, alle tante attenzioni che ognuno a suo modo è riuscito a darmi senza mai essere eccessivo o disturbante.

Se solo mi fossi ammalata qualche giorno dopo, a 17 anni compiuti, sarei stata mandata altrove, in un reparto per adulti, probabilmente più incolore e asettico. Credo che sarebbe stato molto diverso.”

C. “Adesso ti faccio una domanda difficile, ma siccome sei “Paola la dottoressa” penso tu riesca a rispondermi. Per quello che hai vissuto tu, sapendo di avere una malattia “seria”, può una persona malata essere felice?”

P. “Penso proprio di sì, io lo sono stata. Ho avuto sicuramente anche momenti di profonda tristezza e forse anche di rabbia, i sentimenti si alternavano in continuazione, ma ad un certo punto la malattia diventata parte di quel periodo della mia vita e ho imparato a conviverci. Secondo me questo è possibile proprio perché attorno al paziente si può creare un contesto, sia in reparto che in famiglia, di normalità e accettazione della situazione di malattia e perché l’obiettivo della guarigione è possibile. E questo personalmente mi ha motivata tanto.

Un momento di profonda felicità è stato quando mi hai detto che il mio midollo era finalmente “pulito”!

C. “E’ adesso sei felice?”

P. “Sì, a volte penso di esserlo anche più di altre persone che hanno avuto esperienze diverse. Chiaramente non ammalarsi è molto meglio nella vita! La malattia ti cambia, ma non è detto che lo faccia in peggio.”

C. “Allora mi vuoi dire che non hai nemmeno un ricordo brutto? O non ne vuoi parlare?”

P. “Beh più che ricordi brutti mi viene in mente qualche momento difficile: sicuramente il colloquio avuto all’inizio della malattia con il Prof. Masera. I mie genitori vollero che fossi presente anch’io perché ormai grandicella e questo lo apprezzai molto. Ricordo la grande capacità del Prof di farmi capire cosa avrebbe comportato la malattia rispetto alla mia quotidianità nell’imminente futuro. Mi disse che le cure mi avrebbero guarita, c’erano buone possibilità per il mio tipo di leucemia, e che le difficoltà che avrei incontrato e le rinunce che avrei dovuto fare in quel periodo non sarebbero state per sempre… sai per un’adolescente non è facile…. Ripensandoci ora capisco quanto sia importante saper informare veramente i pazienti preoccupandosi di quel che hanno capito… è un lavoro difficilissimo ma fondamentale. Da giovane medico questa è una delle capacità che più desidero imparare.

Ecco… credo di poter definire un brutto ricordo le procedure di aspirato midollare e rachicentesi che allora erano eseguiti senza sedazione, ma se non sbaglio ora le cose sono cambiate…”

C. “Beh in effetti adesso ed ormai da qualche anno, tutte le procedure sono fatte in sedazione, i bambini non sentono nulla, non piangono e non hanno forse neanche più i brutti ricordi di una volta. Ma questo sai ha richiesto tempo e molte fatiche, energie… risorse… il Comitato ci ha sempre aiutati dapprima a trovare risorse e fondi e poi ad incoraggiarci su questa strada che sapevamo fosse quella giusta per i nostri bambini… Oggi per fortuna molti non sanno neanche cosa voglia dire il dolore di una “rachi” o un di un “midollo” come te li ricordi tu….

P. “Bene, immaginavo… questo è un ulteriore importante passo avanti… il controllo del dolore… per me è un obiettivo fondamentale, se è possibile, cambia veramente la percezione della malattia e quello che sarà il suo ricordo”.

C. “Qual è il regalo più bello che hai ricevuto?”

P. “Da Monza intendi? Da quel periodo?

Beh, essere qui adesso! Il mio presente è un gran regalo! La mia salute, che nonostante qualche acciacco, mi permette di far quello che desidero, un ragazzo che mi ama, una famiglia che mi sostiene senza esser mai troppo invadente, degli amici che mi vogliono bene, un lavoro che mi piace e che mi permette di crescere un pochino ogni giorno… cosa posso desiderare di più?

La persona che sono oggi, con le mie forze e le mie debolezze, è frutto anche di quell’esperienza. E se sono qui è anche merito vostro, oltre che della mia testardaggine, e dell’aiuto di chi allora mi è stato vicino.

Però che bella coincidenza è stata quella di rivederci oggi! Sono proprio contenta!”

C. “Anch’io non avrei potuto essere più felice. Sai questa chiacchierata ha reso davvero utile la mia trasferta qui al San Paolo. Parlare e prendere insieme un buon thè è sicuramente servito più a me di quanto non sia servita ai miei colleghi la mia relazione….”

Senti Paola, che ne pensi se di questa chiacchierata ne facciamo un articolo per il notiziario del comitato?

P. Sì, perché no! Mi sembra una bellissima idea!

C. Quasi quasi ti bacio e ti abbraccio.

P. Ma sì dài, in fondo siamo colleghi ma più che altro amici… Ehhhh

C. Sei sempre forte.

P. Anche tu.

C. Fatti sentire mi raccomando…a proposito… se io avessi bisogno di un anestesista (sai invecchiando non si sa mai…) adesso so di avere una brava collega oltre che amica pronta ad addormentarmi…

P. Mi faccio sentire, tranquillo. Ma tu stai alla larga dagli ospedali…almeno come paziente!

C. Ciao Paola, a presto!.

P. Ciao Carmelo! Salutami Lorenza!

 

Uscii dal bar e mi incamminai sorridendo lievemente. Era già buio ma le luci del parcheggio mi sembrarono più brillanti e tremule di come me le aspettassi. Ma forse era solo un po’ di commozione. Ritornai a casa un po’ più felice delle altre sere. Ed il giorno dopo il lavoro in reparto mi sembrò più leggero.